L’ex moglie non può mettere le mani sull’incentivo all’esodo percepito dall’ex marito

La quota dell’indennità di fine rapporto spettante al coniuge titolare dell’assegno divorzile e non passato a nuove nozze non comprende tutte le erogazioni corrisposte in occasione della cessazione del rapporto di lavoro. Deve infatti essere esclusa l’indennità di incentivo all’esodo con cui è regolata la risoluzione anticipata del rapporto di lavoro.

L’ex moglie non può mettere le mani sull’incentivo all’esodo percepito dall’ex marito

È quanto affermato dalla Corte di Cassazione nella sua massima espressione (Sez. Unite sent., 7 marzo 2024, n. 6229), risolvendo un dubbio interpretativo che si era fatto spazio nella giurisprudenza.

La vicenda nasce dalla sentenza con cui il Tribunale di Milano pronunciava la cessazione degli effetti civili del matrimonio di due coniugi, ponendo a carico del marito l'obbligo di versare un assegno divorzile mensile di 9mila euro a favore dell'ex moglie. Quest’ultima citava in appello il coniuge, esponendo che egli aveva nel frattempo interrotto il rapporto lavorativo, percependo oltre a un'ingente somma a titolo di t.f.r. anche un'ulteriore somma a titolo di "incentivo all'esodo". In virtù della legge sul divorzio, chiedeva quindi il versamento del 40% della somma complessivamente percepita.

La Corte ha condannato l’ex marito a versare il 40% del solo t.f.r., reputando che non fosse dovuto alla donna alcun importo percentuale con riferimento alle somme percepite a titolo di "incentivo all'esodo".

La vicenda è giunta così all’attenzione della Corte di legittimità.

Le Sezioni Unite muovono dalla constatazione che l’incentivo all’esodo comporta, da parte del datore di lavoro, un’offerta di somme aggiuntive, rispetto al trattamento di fine rapporto, e che vi sono considerevoli differenze normative tra trattamento di fine rapporto e incentivo all’esodo, poiché l’importo erogato a titolo di incentivo all’esodo non viene considerato ai fini della formazione della base imponibile per il calcolo di contributi di assistenza e previdenza sociale, mentre concorre alla formazione del reddito imponibile ai fini fiscali.

L’incentivo all’esodo è dunque una somma di fine rapporto non obbligatoria e non aggiuntiva che il datore di lavoro può decidere di pagare.

Questo istituto, infatti, ha natura sostanzialmente risarcitoria: erogato nell’ambito di una trattativa tra lavoratore e datore di lavoro finalizzata allo scioglimento del rapporto di lavoro, mira a sostituire mancati guadagni futuri.

A differenza del trattamento di fine rapporto, dunque, l’incentivo all’esodo non è costituito da somme accantonate durante il periodo lavorativo “coincidente con il matrimonio”, ma al contrario va a sostituire un (mancato) reddito lavorativo futuro.

In conclusione, viene affermato che tale erogazione resta fuori dall’ambito di applicazione dell’art. 12-bis della legge sul divorzio, impedendolo sia la lettera che lo spirito della legge, così come ne restano fuori, sempre in virtù del canone di stretta interpretazione, le altre indennità percepite dal coniuge lavoratore, in virtù di atti volontari, aventi causa diversa dal trattamento di fine rapporto.

Da tale premessa, consegue che il diritto dell’ex coniuge a una quota del trattamento di fine rapporto dell’ex congiunto non compete con riguardo a quelle somme che siano erogate a titolo di incentivo all’esodo.

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