La rinuncia al diritto di servitù deve avere forma scritta
La Suprema Corte ha di recente ribadito il requisito formale della forma scritta per la rinuncia alla servitù, sottolineando che la mancanza di tale formalità comporta la nullità dell'atto.

Il caso in oggetto riguardava una signora che ha citato in giudizio il fratello per l'inadempimento di un accordo verbale, documentato più tardi da una lettera, riguardante la chiusura di due passaggi presenti sulla sua proprietà che davano sul terreno dell’attrice.
Il Tribunale ha accolto la domanda principale dell'attrice, condannando il convenuto a chiudere le aperture come promesso, nonostante la mancanza di un accordo formale scritto. La Corte d'Appello ha confermato la sentenza, sostenendo che il convenuto aveva confermato il suo impegno verbale attraverso la successiva lettera inviata in forma scritta alla sorella.
L'appellante ha presentato ricorso per cassazione sostenendo che l'accordo verbale, anche se confermato in seguito per iscritto, richiedeva la forma scritta per essere valido, poiché riguardava un diritto reale, quello di servitù.
La Corte di cassazione ha accolto il ricorso, confermando la necessità della forma scritta per la rinuncia al diritto di servitù, non potendo risultare né da fatti concludenti, né può essere oggetto di prova per testi.
La vicenda, quindi, risponde al quesito se la rinuncia a un diritto reale, nella specie quello di servitù, possa essere resa anche oralmente e non necessariamente per iscritto.
In conclusione, la Corte di cassazione ha riaffermato che la rinuncia al diritto di servitù deve essere rivestire la forma scritta a pena di nullità. (Cass. Civ. sez. II, 21 febbraio 2024, n. 4646)