La Consulta sul provvedimento di archiviazione che ha il “peso” di una condanna
Un giudizio di archiviazione basato sulla prescrizione del reato che attribuisce responsabilità alla persona sotto indagine viola il diritto costituzionale alla difesa e al contraddittorio, oltre al principio di presunzione di non colpevolezza.

La Corte costituzionale, nella sentenza n. 41/2024 depositata il 11 marzo 2024, ha respinto una questione di legittimità costituzionale posta dal Tribunale di Lecce.
Nel caso esaminato dal Tribunale, una persona sotto indagine aveva casualmente appreso di un giudizio di archiviazione basato sulla prescrizione, in cui si affermava che le accuse contro di lei erano supportate da prove dettagliate. Dopo aver presentato reclamo contro questa decisione e dichiarato la volontà di rinunciare alla prescrizione, il Tribunale di Lecce aveva chiesto alla Corte di imporre al pubblico ministero l'obbligo di informare preventivamente la persona sotto indagine di una possibile archiviazione per prescrizione, permettendole così di rinunciare alla prescrizione e ottenere una sentenza affermativa della sua innocenza.
La Corte costituzionale ha respinto la questione ritenendola infondata. Sebbene la Corte abbia riconosciuto in passato il diritto dell'imputato a rinunciare alla prescrizione dopo l'avvio dell'azione penale, questo principio non deve necessariamente essere esteso a chi è semplicemente sottoposto a indagini preliminari e non è stato formalmente accusato di un reato dal pubblico ministero.
La Corte ha sottolineato che durante le indagini preliminari, la persona coinvolta ha a disposizione mezzi ordinari per difendere la propria reputazione, come ad esempio ricorrere alla denuncia per calunnia o diffamazione sin anche all’azione di risarcimento danni. Ricorda, infatti, la Corte che l’indagato può sporgere denuncia «contro qualsiasi privato che lo abbia ingiustamente accusato di avere commesso un reato, nonché contro ogni indebita utilizzazione, da parte dei media, degli elementi di indagine e dello stesso provvedimento di archiviazione, così da presentare di fatto la persona come colpevole […]. Inoltre, un elementare principio di civiltà giuridica impone che tutti gli elementi raccolti dal pubblico ministero in un’indagine sfociata in un provvedimento di archiviazione debbano sempre essere oggetto di attenta rivalutazione nell’ambito di eventuali diversi procedimenti (civili, penali, amministrativi, disciplinari, contabili, di prevenzione) in cui dovessero essere in seguito utilizzati», così da assicurare all’interessato in quelle sedi «le più ampie possibilità di contraddittorio […], anche mediante la presentazione di prove contrarie».
La Corte ha evidenziato che, se il giudizio di archiviazione contiene giudizi circa la colpevolezza dell’imputato, lo stesso è indebito «a fronte della considerazione che, una volta riscontrato l’avvenuto decorso del termine di prescrizione, gli stessi poteri di indagine e di valutazione del pubblico ministero sui fatti oggetto della notitia criminis vengono meno».
Tali provvedimenti, se divulgati, possono arrecare gravi danni alla reputazione e alla vita personale e professionale degli interessati, potendo dar luogo a responsabilità civile e disciplinare del magistrato che ha richiesto o emesso il provvedimento.
In conclusione, il bilanciamento degli interessi coinvolti richiede che si garantisca sempre all'interessato il diritto a un ricorso efficace contro le decisioni che impropriamente attribuiscono a un'archiviazione il peso di una condanna, senza dare all'indagato, che potrebbe non essere a conoscenza delle indagini, il diritto effettivo di contraddittorio su prove raccolte dal pubblico ministero. (Corte Cost., 11 marzo 2024, n.41)