Il passato di una donna, soprattutto in caso di mutilazioni genitali femminili, deve essere valutato al fine della protezione internazionale
Nel contesto della tutela della protezione internazionale, è essenziale considerare attentamente il passato di una donna nel caso in cui abbia subito mutilazioni genitali femminili (MGF) per valutare il rischio che la stessa sia sottoposta a trattamenti inumani e degradanti o a trattamenti discriminatori anche di altra natura.

La Corte di Cassazione si è pronunciata in tal senso in una recente sentenza emessa sulla base del ricorso di una donna nigeriana contro il rifiuto, da parte del Tribunale di Roma, di riconoscerle lo status di rifugiata o di protezione sussidiaria. La donna ha argomentato il ricorso sottolineando che:
- La pratica delle mutilazioni genitali femminili (di seguito MFG) nel paese d'origine dovrebbe portare al riconoscimento dello status di rifugiata, poiché rappresenta una discriminazione ingiustificata contro le donne.
- Il Tribunale non ha ascoltato la donna e non ha considerato il contesto più ampio di discriminazione contro le donne, insieme alle MGF, nell'ambito della decisione basata principalmente sulle persecuzioni subite dalla richiedente in quanto monaca e religiosa.
- La protezione speciale accordatale era legata principalmente all'integrazione della donna in Italia e all'articolo 8 CEDU, senza considerare la sua situazione personale, la vulnerabilità e il contesto del suo paese d'origine.
Secondo i Giudici di legittimità, i primi due motivi del ricorso sono fondati e dovrebbero essere trattati congiuntamente. La Corte sottolinea che le MGF costituiscono una forma di violenza di genere che arreca danni fisici e mentali, violando i diritti umani delle donne e delle ragazze. Inoltre, anche a livello interazionale sono condannate le MGF e si auspicano interventi per la loro abolizione. In tal senso si ricorda la nota orientativa del 2009 dell’UNHCR sulle domande di asilo riguardanti le MGF che considera queste ultime una forma di violenza di genere che infligge un grave danno sia fisico che mentale, oltre a consistere in vere e proprie persecuzioni perpetrate in danno di diritti umani di donne e ragazze. La Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica adottata a Istambul l’11 maggio 2011e ratificata dall’Italia con l. n. 77 del 2013, definisce le MGF come grave violazione dei diritti umani delle donne e delle ragazze nonché principale ostacolo al raggiungimento della parità tra i sessi. Infine, la Risoluzione del Parlamento UE del 14 giugno 2012 sull’abolizione delle MGF dà atto che le stesse sono indice di disparità nei rapporti di forza, oltre a costituire una forma di violenza nei confronti delle donne. Oltre alla normativa internazionale e comunitaria, i Supremi Giudici ricordano che per effettuare una valutazione corretta della richiesta della donna, occorre valutare il pericolo che questa sia sottoposta a trattamenti inumani e degradanti o subire discriminazioni di genere non solo in riferimento alla possibilità che venga sottoposta ancora una volta a MGF, ma «che possa subite tali trattamenti a causa del suo pregresso vissuto e delle peculiarità della sua storia personale, mediante idoneo approfondimento al riguardo tramite le fonti di conoscenza sul contesto sociale e culturale di provenienza».
Quindi, i Giudici ritengono che il Tribunale non abbia effettuato un’adeguata valutazione del rischio in cui potrebbe incorrere la donna se rimpatriata in Nigeria e questo perché ha avuto riguardo solo alla sua condizione di monaca, ma non anche al vissuto personale e pregresso. Nel ricorso presentato, infatti, si legge che il pericolo non deriva dalla sua condizione di religiosa (oltretutto non riconosciuta nel proprio Paese di origine), ma perché è una donna non sposata e, in base al suo vissuto, ha condotto una vita contraria a quanto era stata iniziata in tenera età, ovvero quando era stata sottoposta a MGF.
Su queste basi, il Collegio accoglie i primi due motivi di ricorso ritenendo assorbiti gli altri, e rinvia al Tribunale di Roma per una nuova valutazione. (Cass. civ., sez. I, ord., 15 marzo 2024, n. 7022).