Manifesti contro il ‘gender’ nelle scuole: legittimo che il Comune si opponga alla affissione
L’esplicazione della libertà di manifestazione del pensiero – in specie, quella che si avvale del mezzo pubblicitario, idoneo a raggiungere numerosi ed indifferenziati destinatari di una determinata comunità territoriale – incontra i limiti della continenza espressiva dei contenuti, nonché dei principi di prudenza e precauzione volti ad evitare impatti sulla sensibilità dei fruitori del messaggio
Legittimo il diniego opposto dal Comune all’affissione, da parte di una associazione, di manifesti contro il cosiddetto ‘gender’ nelle scuole.
Questa la secca presa di posizione dei giudici (sentenza numero 7132 del 29 agosto 2025 del Consiglio di Stato) a chiusura del contenzioso che ha visto opposti il Comune di Roma e l’associazione ‘Pro Vita e Famiglia’.
Decisivo il riferimento alla normativa, secondo cui è vietata sulle strade e sui veicoli qualsiasi forma di pubblicità il cui contenuto proponga messaggi sessisti o violenti o stereotipi di genere offensivi o messaggi lesivi del rispetto delle libertà individuali, dei diritti civili e politici, del credo religioso o dell’appartenenza etnica oppure discriminatori con riferimento all’orientamento sessuale, all’identità di genere o alle abilità fisiche e psichiche.
Tale disposizione va intesa, precisano i giudici, nel senso che i messaggi volti a sensibilizzare il pubblico su temi di interesse sociale non possono ricorrere a richiami tali da ingenerare allarmismi, sentimenti di paura o di grave turbamento o colpevolizzare o addossare responsabilità a coloro che non intendono aderire all’appello.
Nel caso specifico, il diniego opposto dall’amministrazione comunale di Roma ha riguardato la richiesta di affissione di un manifesto dell’associazione ‘Pro Vita e Famiglia’, predisposto in relazione a una campagna di raccolta di firme per la presentazione di una petizione sul tema del ‘gender’ nelle scuole e riportante una immagine di un bambino in età adolescenziale al quale sono proposti da mani terze un fiocchetto rosso e un rossetto. A caratterizzare il manifesto, poi, in alto la dicitura “Basta confondere l’identità sessuale dei bambini #stop gender nelle scuole”, e, in basso, l’invito a firmare, sul sito dell’associazione, la correlata petizione ‘Stop Gender nelle scuole!’.
A fronte di tali contenuti, va condivisa, secondo i giudici, la scelta compiuta dal Comune di Roma. Ciò innanzitutto alla luce del principio secondo cui a libertà di espressione non è illimitata e assolutamente non controllata, ma, comportando doveri e responsabilità, può essere sottoposta dall’autorità pubblica anche a formalità, condizioni ovvero restrizioni, le quali, proprio in una società democratica, appaiono misure necessarie a proteggere l’interesse pubblico superiore e la reputazione ovvero i diritti altrui.
Ragionando in questa ottica, l’esplicazione della libertà di manifestazione del pensiero – in specie, quella che si avvale del mezzo pubblicitario, idoneo a raggiungere numerosi ed indifferenziati destinatari di una determinata comunità territoriale – incontra i limiti della continenza espressiva dei contenuti, nonché dei principi di prudenza e precauzione volti ad evitare impatti sulla sensibilità dei fruitori del messaggio.