Cassazione: no a liste elettorali gender fluid

La Suprema Corte ha infatti rigettato le richieste con cui due persone hanno chiesto l’iscrizione nelle liste elettorali del Comune ma senza l’inserimento nella lista degli uomini né nella lista delle donne

Cassazione: no a liste elettorali gender fluid

I due ricorrenti hanno impugnato la decisione con cui una Commissione Elettorale Circondariale aveva rigettato le loro istanze volte ad ottenere l’iscrizione nelle liste elettorali del Comune ma non nella lista degli uomini né nella lista delle donne.

L’obiettivo della richiesta è la tutela del pieno e libero esercizio del diritto-dovere di voto in qualità di persone non binarie e non inquadrate nella rigida classificazione del rispettivo genere biologico. Il danno non sarebbe solo il mancato riconoscimento istituzionale della loro identità, ma anche il disagio legato al dover attendere la chiamata alle urne nella fila corrispondente al genere assegnato dalla nascita ma non riconosciuto come proprio.

Per la Cassazione, però, non ci sono i presupposti per riconoscere un pregiudizio alla possibilità di esercitare liberamente il voto.

I giudici ricordano che «le norme stabiliscono che: le liste elettorali sono distinte per uomini e donne e sono compilate in ordine alfabetico in doppio esemplare, con l’indicazione di una serie di elementi identificativi degli elettori; devono essere aggiornate annualmente dal sindaco con i nominativi di coloro che hanno raggiunto la maggiore età, in base ai registri dello stato civile; semestralmente devono essere compilati due elenchi separati, ciascuno distinto per uomini e donne, per la revisione delle liste elettorali, cui provvede la ‘Commissione elettorale’; anche le liste di sezione devono essere compilate, sulla scorta delle liste elettorali, distintamente per sesso, in triplice esemplare, e contenere due colonne rispettivamente per le firme di identificazione degli elettori».

Inoltre, «le norme e la distinzione per appartenenza di genere concernono esclusivamente l’esecuzione e lo svolgimento delle attività di carattere amministrativo propedeutiche all’esercizio del diritto di voto, realizzate mediante la predisposizione e l’aggiornamento delle liste elettorali, ma non incidono sull’esercizio del diritto di voto».

Concludendo «il diritto di voto, che si fonda sul principio del suffragio universale sancito dalla Costituzione» è regolato da una normativa ad hoc, che stabilisce, tra l’altro, che «dichiarata aperta la votazione, gli elettori sono ammessi a votare nell’ordine di presentazione. Essi devono esibire la carta d’identità o altro documento d’identificazione rilasciato dalla pubblica amministrazione», e, quindi, «la prospettazione circa la prassi dell’incolonnamento in fila per genere, in attesa dell’accesso alle urne, di cui i due soggetti si dolgono, appare (come notoriamente è dato riscontrare nella realtà dell’esercizio del diritto politico), riconducibile ad una impropria evenienza fattuale».

Ma ancora, «il senso di disagio e di imbarazzo lamentato dai due soggetti nel corso delle operazioni elettorali non si vede a quale previsione normativa sia ricollegabile, visto che lo svolgimento di tali operazioni, che ben potrebbe essere diversamente organizzato, non prevede in alcun modo una ostensione o distinzione, fisica o visibile, degli elettori in base al genere risultante dalle liste elettorali».

Il ricorso viene in definitiva rigettato posto che l’esercizio del diritto di voto non è vincolato o condizionato all’ostensione del genere dell’elettore (Cass. civ., sez. I, ord., 9 aprile 2024, n. 9428).

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