Assegnazione della casa coniugale al genitore affidatario del figlio: conta solo l’attuale legame della prole con l’habitat domestico

Non rilevante, invece, precisano i giudici, il potenziale rientro, in futuro, nell’immobile

Assegnazione della casa coniugale al genitore affidatario del figlio: conta solo l’attuale legame della prole con l’habitat domestico

Conta solo il presente, ossia il concreto legame della prole con l’habitat domestico, per l’assegnazione della casa coniugale al genitore affidatario del figlio. Irrilevante, invece, il potenziale rientro, in futuro, della prole nell’immobile.
Questi i paletti fissati dai giudici (ordinanza numero 23443 del 18 agosto 2025 della Cassazione), chiamati a prendere in esame il caso riguardante anche una ragazza maggiorenne portatrice di disabilità grave.
In generale, l’assegnazione della casa familiare ad uno dei genitori richiede la verifica del legame tra la prole, la casa familiare e il genitore che vive in essa insieme alla prole, provvedendo alla sua assistenza, in base ad un accertamento che deve essere effettuato in concreto e nell’attualità, senza che abbiano rilievo possibili future sistemazioni.
Ufficializzato il divorzio tra moglie e marito, ulteriore terreno di scontro, nel caso specifico, è la casa adibita per anni a ‘nido’ familiare. Su questo fronte, i giudici di merito dispongono l’assegnazione dell’immobile alla donna, e ciò nell’interesse della figlia maggiorenne disabile.
In particolare, per i giudici d’Appello non può ritenersi venuta meno, allo stato, l’esigenza di garantire alla ragazza la continuità dell’ambiente domestico – inteso quale centro degli affetti, degli interessi e delle consuetudini di vita – in cui è cresciuta e ove ha continuato a vivere in modo stabile, dopo la crisi coniugale dei genitori, insieme alla madre. Su questo fronte viene osservato che, nel corso del giudizio di primo grado, la ragazza, alla quale era stato diagnosticato un disturbo di personalità con turbe comportamentali, era stata inserita, dopo il ricovero nel reparto di Psichiatria di un ospedale, in una struttura residenziale adibita all’assistenza e alla cura di soggetti con disabilità psichiche e poi ella aveva cambiato la struttura, ma era ancora ricoverata al momento della decisione.
A fronte di ciò, per i giudici d’Appello la struttura residenziale non può essere considerata come un nuovo habitat, idoneo a sostituire quello familiare, anche perché l’interruzione forzosa della convivenza con la madre, causata dalla necessità del ricovero, non è sufficiente a recidere definitivamente il collegamento stabile e duraturo con l’ambiente in cui ella aveva vissuto sin dalla nascita.
Ampliando l’orizzonte, viene prima richiamata la progettualità relativa al riavvicinamento della ragazza alla sua città natale ed ai familiari e viene poi osservato che nessuno degli specialisti intervenuti nella vicenda ha mai previsto (né solo ipotizzato) un ricovero a vita della ragazza.
Per i giudici d’Appello, quindi, vi è la necessità di salvaguardare l’interesse della ragazza a conservare la permanenza dell’ambiente domestico in cui è cresciuta, non potendosi, allo stato, escludere – in mancanza di valutazioni mediche atte a considerare irreversibile il ricovero presso una struttura residenziale – la possibilità, all’esito dei percorsi e degli interventi proposti e di quelli terapeutici in atto, di un graduale rientro della ragazza presso l’abitazione familiare, insieme alla madre.
Tirando le somme, per i giudici d’Appello va confermato il provvedimento di assegnazione della casa familiare alla donna, sebbene il suo trasferimento non sia nel presente attuabile, tenuto conto che la ragazza ha lì vissuto ininterrottamente con la madre fino al 2018, anche dopo l’allontanamento del padre, il quale, invece, solo nel giudizio di appello ha manifestato la disponibilità ad accogliere la figlia e non può, quindi, rappresentare», chiosano i giudici d’Appello, «quel punto di riferimento stabile che costituisce la madre.
A portare la questione in Cassazione è l’uomo, il quale ritiene illegittima l’assegnazione della casa familiare all’ex moglie.
Tale posizione è, almeno sulla carta, legittima, per i magistrati di terzo grado, i quali fissano un importante principio, cui ovviamente dovranno tenersi i giudici d’Appello, chiamati nuovamente a prendere in esame la vicenda: in tema di statuizioni riguardanti i figli maggiorenni portatori di disabilità grave, l’assegnazione della casa familiare ad uno dei genitori richiede la verifica del legame tra il figlio, la casa familiare e il genitore che vive in essa insieme al figlio, provvedendo alla sua assistenza, in base ad un accertamento che deve essere effettuato in concreto e nell’attualità, senza che abbiano rilievo possibili future sistemazioni.
Fondate, nello specifico, le perplessità manifestate dall’uomo, a fronte della decisione d’Appello con cui è stata confermata l’assegnazione della casa coniugale alla donna, pur nel difetto di una stabile convivenza con lei da parte della figlia maggiorenne portatrice di handicap, allo scopo di garantirle una futura disponibilità dell’abitazione.
Prima di esaminare i dettagli, i magistrati partono da un dato di fatto: la figlia della coppia, una ragazza maggiorenne con disabilità, si trova in una condizione di handicap grave, che comporta, Codice Civile alla mano, l’applicazione della normativa, laddove prevede che ai figli maggiorenni portatori di handicap grave si applicano integralmente le disposizioni previste in favore dei figli minori.
Tale visione determina l’operatività per il figlio maggiorenne gravemente disabile non solo delle disposizioni in tema di visita, cura e mantenimento dei figli minori da parte dei genitori non conviventi, ma anche della disciplina relativa all’assegnazione della casa familiare. Consequenziale, quindi, la possibilità di assegnare la casa familiare al genitore convivente con il figlio maggiorenne portatore di handicap grave, tenuto conto che l’assegnazione della casa familiare è tesa, anche in questi casi, a garantire al figlio la continuità di vita nel suo ambiente familiare, in un domicilio oramai nel tempo adeguato alle specifiche esigenze relative alla sua disabilità e tale da garantirgli una soddisfacente vita di relazione.
Con riferimento, poi, ai requisiti per l’assegnazione della casa familiare, la statuizione deve essere effettuata tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli minorenni o dei figli maggiorenni economicamente non autosufficienti a restare nell’ambiente domestico in cui sono cresciuti durante la vita matrimoniale, e ciò per garantire il mantenimento delle loro consuetudini di vita e delle relazioni sociali, che in tale ambiente si sono radicate, con la conseguenza che la revoca dell’assegnazione della casa familiare richiede come esclusivo presupposto l’accertamento del venir meno dell’interesse dei figli alla conservazione dell’habitat domestico in conseguenza del raggiungimento della maggiore età e del conseguimento dell’autosufficienza economica o della cessazione del rapporto di convivenza con il genitore assegnatario. Inoltre, con riferimento alle ipotesi in cui si tratti di figli maggiorenni economicamente non autosufficienti, la nozione di convivenza rilevante ai fini dell’assegnazione della casa familiare implica la stabile dimora del figlio presso quell’immobile, sia pure con eventuali sporadici allontanamenti per brevi periodi e con esclusione delle ipotesi di rarità dei ritorni, ancorché regolari.
Tale principio opera anche nel caso in cui il figlio maggiorenne sia portatore di una disabilità grave, precisano i giudici di Cassazione. Di conseguenza, il magistrato è tenuto a verificare, con un accertamento da compiersi in concreto e nell’attualità, che la casa familiare rappresenti, per il figlio gravemente disabile, l’habitat domestico, ove il genitore che con lui vive provvede all’accudimento e alla cura. Deve, in sintesi, risultare l’esistenza, al momento della decisione, di quel collegamento tra il figlio, la casa familiare e il genitore convivente che sia in grado di giustificare l’assegnazione dell’abitazione proprio al genitore che convive con la prole.
Applicando questa prospettiva alla vicenda in esame, è palese l’errore compiuto in Appello, laddove si è confermata, a conclusione del procedimento di divorzio, l’assegnazione della casa familiare alla donna, come disposto dal Tribunale, in conformità a quanto già disposto in sede di separazione, sebbene nel corso del giudizio di primo grado la ragazza sia stata inserita in strutture residenziali adibite alla assistenza e alla cura dei soggetti con disabilità psichiche.
Ciò detto, i giudici d’Appello hanno escluso che la casa familiare avesse perso la propria funzione di habitat domestico della figlia delle parti, nonostante la ragazza fosse da molti anni ricoverata in strutture residenziali per malati psichici, e hanno invece dato rilievo al fatto che la ragazza non dovesse restare per tutta la vita in dette strutture, mentre i ‘Servizi sociali’ che l’avevano presa in carico stavano valutando la possibilità di riavvicinarla alla città in cui vivono i genitori.
Per i giudici d’Appello, non potendosi escludere che la ragazza potesse, in futuro, tornare nella casa familiare, ma escludendo nell’attualità tale soluzione, è conforme all’interesse della ragazza conservare l’assegnazione della casa familiare alla madre che, da sempre, prima del ricovero, ha vissuto con lei.
Tuttavia, ciò che rileva, ai fini dell’assegnazione della casa familiare, è la sussistenza, nell’attualità, della funzione di habitat domestico, da custodire nell’interesse del figlio, senza che abbia alcuna rilevanza l’eventuale possibile rientro in tale abitazione in un futuro non meglio determinato, chiosano i magistrati di Cassazione. Anche perché l’accertamento non compiuto in Appello avrebbe dovuto riguardare, non la possibilità, in un futuro più o meno prossimo, di un rientro della ragazza nella casa familiare, ma l’esistenza, al momento della decisione, di quel collegamento tra la ragazza maggiorenne con grave disabilità, la casa familiare e il genitore a cui viene assegnata la casa, in grado di giustificare, nel caso concreto, l’assegnazione dell’immobile alla madre della ragazza.
Questa valutazione dovrà essere compiuta nell’Appello bis, e i giudici di secondo grado dovranno ridimensionare la rilevanza attribuita all’«eventuale rientro della ragazza nella casa familiare in un futuro incerto e solo possibile.

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